martedì 25 febbraio 2025

Racconto: La prova


 Buona lettura


    La sveglia sul comodino suonò più volte prima che Teresa spostasse una mano dal cuscino per spegnerla. Pigramente fece qualche movimento per alzarsi, poi realizzò: era sabato, la sua giornata di riposo. Si girò nel letto, quel dolce tepore sotto le lenzuola la faceva stare bene e cercò di riappisolarsi, ma sentì Dolly entrare in camera per reclamare la sua dose di coccole mattutine.
    Controvoglia scese le gambe giù dal letto e infilò le pantofole, il filo di luce che filtrava oltre le persiane faceva presagire una bella giornata di sole. Si avvicinò alla finestra e spalancò le imposte. Non si era sbagliata, un cielo di un azzurro intenso le dette il buongiorno. Era bello iniziare la giornata così, le metteva in corpo voglia di uscire all'aria aperta, di fare qualsiasi cosa, anche un po' di attività fisica.
    Non aveva programmi per la giornata, ci poteva mettere tutto o il contrario di tutto. Era libera di scegliere... e non c'era cosa che amasse di più. Non dover rendere conto a nessuno è una gran bella cosa, pensò, mentre entrava in bagno. Si mise sotto la doccia e si lasciò avvolgere dal flusso di quell'acqua calda che le scivolava sulla pelle e lungo tutto il corpo. Era una sensazione piacevole e ne approfittò senza fretta.
    Mentre si avvolgeva nell'asciugamano sentì lo squillo del cellulare. Brava, non aveva spento neanche quello, chissà dove aveva la testa ieri  sera.
    Andò in soggiorno per vedere sul display il numero che stava chiamando. Quando lesse: Questore Minniti, tutto il suo buon umore sfumò in un attimo. Non era certo per augurarle un buon sabato che stava chiamando.
    E te pareva. Pensò seccata Teresa.  Che è il mio giorno di riposo, quello se lo ricorda? Cosa ci sarà di così urgente? 
    “Buongiorno Dottoressa Colangeli, alla buon ora - l'apostrofò il Questore con voce alterata. - Perché non risponde al telefono? E' da mezz'ora che il Commissario Vella prova a chiamarla. Ha bisogno di lei per un cadavere che hanno trovato a San Piero. Faccia in fretta. Voglio i risultati dell'autopsia sul tavolo entro stasera.”
    “Ma, Signor Questore, non faccio miracoli... oltretutto oggi sarebbe anche il mio giorno libero.”
    “Riposo... riposo... sa pensare solo a questo, lo vada a dire a quel poveretto che non era il giorno giusto per morire, perché lei era di riposo. Si sbrighi Dottoressa, il riposo lo farà un altro giorno. Le concedo 48 ore.”
    Le dette l'indirizzo e riattaccò senza permetterle di replicare.
    Ecco qua, giornata rovinata.
    Quando aveva scelto patologia forense, sapeva che poteva andare incontro anche a giornate come quelle, era parte del suo lavoro e l'aveva sempre accettato di buon grado fino a quella mattina. Quella mattina le pesò terribilmente, dopo la settimana stressante che aveva avuto.
    Andò in cucina per mangiare qualcosa, e il cane la seguì continuando a leccarle la mano. “Dolly, mi dispiace, le disse, oggi per le coccole dovrai aspettare.”
    Passò nella camera da letto, poi di nuovo in bagno e sentì ancora il telefono. Non smetteva di squillare.
    “Tresa, perché non rispondevi al telefono? Minniti ti ha già detto tutto? Sbrigati. Sono qua da quasi un'ora.” Era la voce sostenuta del commissario Vella, Pietro come glielo proponeva la rubrica.
    “Buongiorno a te. Adesso non saluti neppure più? Io non sono a tua disposizione 24 ore su 24. Ho la mia vita e si dà il caso che oggi fosse anche il mio giorno di riposo. Eppoi quante volte ti devo dire che non voglio essere chiamata Tresa! Sono Te re sa, è difficile dire Teresa? La prossima volta ti riaggancio il telefono.”
    “Ma dai... quante storie... scherzavo... era per farti arrabbiare. Mi piace quando ti arrabbi, hai carattere.”
    “ Allora quando arrivi? Aspettiamo i tuoi rilievi.”
    “Ancora non riesco a volare. Venti minuti, mezz'ora al massimo e sono da te. Ciao.” Sull'ultima parola la donna interruppe bruscamente la comunicazione.

***
    Il morto, disteso a terra, in pantaloni e maglietta, era in posizione supina con i piedi rivolti alla porta. Vella era in cucina, e le andò incontro aggiornandola sul ritrovamento.
    “L'ha visto un vicino, la porta era aperta. Da un primo esame non ci sono segni di scasso e le impronte, che abbiamo rilevato in casa, presumo appartengano alla vittima, comunque controlleremo. Apparentemente pare tutto a posto, il letto è sfatto, ma pare vi abbia dormito una sola persona. I vicini delle case davanti dicono di non aver visto niente di strano, né persone che si aggirassero nei paraggi. Cosa ne pensi?”
    “E' presto per dire. Sai che prima devo fare l'autopsia - Teresa esaminò attentamente il cadavere e aggiunse - Sul corpo non ci sono ferite evidenti, è entrato in Rigor mortis, quindi mi fa pensare che l'ora del decesso risalga a prima delle otto di questa mattina. Non escluderei si possa trattare di morte naturale, comunque ti dirò tutto quando avrò finito. Adesso potete rimuoverlo. ”
    “Abbiamo a che fare con un certo Amilcare Benelli nato a Trieste.”- Aggiunse Vella. - “ Abitava qua da solo sei mesi, e il vicino, che ha trovato il corpo, gli aveva parlato solo tre volte. Pare fosse una persona schiva, che stava sempre da solo. Altro non sono riuscito a scoprire. Ho bisogno tu mi dica, al più presto, di cosa è morto.”
    “Va bene. Adesso vado, tanto non avete più bisogno di me. Ti faccio sapere.”
    “Aspetto allora.”
    “ Mi raccomando, dammi notizie prima possibile.” Le gridò mentre stava già salendo in macchina. Teresa le fece un cenno di saluto con la mano e se ne andò.


    A casa Dolly l'aspettava vicino alla porta. Appena la giovane entrò il cane le saltò addosso portandole le zampe al petto, allora le diede qualche coccola e le preparò la ciotola con il pasto. Dopo non più di un quarto d'ora era già fuori casa per fare una sosta al bar di fronte, mangiare un panino e dirigersi verso l'istituto di medicina legale che distava dieci minuti di macchina.
    La giornata mite di primavera, l'allegria canterina dei passerotti sugli alberi, cozzò terribilmente con l'ambiente silenzioso e buio. Entrò in sala autopsie ed ebbe un brivido. Non mi abituerò mai, pensò. 
    Il cadavere l'aspettava già disteso sul lettino di ferro. Quando fece scorrere la lampo del sacco grigio e vide da vicino il volto di un giovane quarantenne apparentemente in buona salute di corporatura esile, le tornò in mente il luogo squallido dove era stato rinvenuto... l'ingresso buio senza mobili, né quadri appesi, e l'altra stanza... la cucina, era spoglia con le pareti incolori, una semplice credenza, un tavolo e due sedie. 
    Era, in apparenza, così tutto perfettamente in ordine che pareva che nessuno vi vivesse da tempo e si sorprese a dirgli: “Mi sa che tu ultimamente non sia stato troppo felice. Ma puoi stare tranquillo che qualunque cosa sta dietro a tutto questo, la scoprirò, la scopriremo. Puoi contarci.”
    Si soffermò a guardarlo ancora un attimo, dopo di ché iniziò a esaminarlo, cercando di non tralasciare niente, anche il pur minimo elemento era importante per stabilire le cause del decesso. Lui non poteva più parlare, ma aveva senz'altro qualcosa da dirle, ce l'avevano sempre tutti quelli che aveva incontrato su quel tavolo nella sua professione di patologa e indagare quelle loro verità la faceva sentire utile.
    Notò che il cadavere presentava macchie di un marrone violaceo, sul lato anteriore, nella parte bassa del corpo, le cosiddette macchie ipostatiche dovute alla posizione in cui si era trovato l'uomo dopo la morte. Non trovò fori di entrata di proiettile, né ferite di arma da taglio. Le pelle giallognola presentava un ispessimento anormale della pelle, e pensò fosse strano. Allora ne esaminò la gola e vide che era arrossata, come se l'uomo avesse ingerito una sostanza irritante. Era importante? Ancora non lo sapeva. Aveva bisogno di fare altri esami, ma la sottile presenza di alitosi dal tipico odore di aglio la insospettì e si spostò a esaminare gli altri organi.
    L'autopsia le richiese tempo e pazienza, come sempre, e si fecero le diciannove senza che se ne rendesse conto. Fu la deconcentrazione e un leggero mal di testa che la portarono a sincerarsi dell'ora. Doveva fare ancora un paio di esami e aspettare i risultati per cui pensò fosse meglio interrompere e andarsene a casa per riprendere il mattino successivo a mente più lucida.
    Si era già fatta un'idea sulla causa della morte, appena a casa ne informò il Questore e verso le dieci provò a chiamare anche Pietro.
    Il suo telefono squillò diverse volte a vuoto, alla fine le rispose la voce impastata di una persona apparentemente un po' sbronza.
    “Tresa – Al solito, proprio non voleva ricordarsi il suo nome, godeva a farla arrabbiare. Si trattenne da insultarlo e lasciò che formulasse le frasi – A quest'ora? Sei ancora in istituto?”
    “Ciao Pietro, ma mi hai detto tu di chiamare appena avessi fatto l'autopsia.” “Che ti succede? Stai male? Hai una voce strana. Non sono riuscita a concluderla ma posso darti già qualche indicazione. Però se ti disturbo, richiamo domattina. Verso le nove va bene? Troppo presto?”
    “Ma no, no, sono solo. Dimmi pure.”

    Il Commissario Vella, catanese di origine, da un paio d'anni di istanza alla Questura di Pisa, era un giovane capace ma anche affascinante e lo si vedeva sempre in compagnia di qualche femmina. Corporatura robusta, un metro e ottanta, occhi celesti, sguardo intrigante, capelli neri ricci, aveva la fama di ruba cuori. In giro però si vociferava che nessuna era ancora riuscita a conquistare il suo di cuore. Tante avventure, ma mai niente di serio. Teresa lo trovava un po' presuntuoso, ma tutto sommato simpatico e di buona compagnia.
    Pietro invece provava un'attrazione particolare per lei, non era dovuta tanto a qualcosa nel suo fisico: le forme aggraziate, gli occhi di un verde cristallino come il mare o lo sguardo sveglio, di donne così ne aveva attorno ogni giorno. No, c'era qualcosa in lei che andava al di là di questo, ma non sapeva spiegarsi cosa fosse. Era brillante, indipendente, aveva un carattere deciso, e pareva sapere sempre ciò che voleva.

    “Tutto fa supporre che l'uomo sia morto per avvelenamento. - precisò la donna. - Ma te lo dico con più chiarezza domani mattina. Si è trattato di un avvelenamento lento, ma qualcosa deve aver sentito perché è stato colto da una neuropatia periferica.”
    “Che vuol dire? Non usare parolone, ti prego. Faccio il commissario, non il medico. “
    “Voglio dire che deve aver accusato sintomi prima di morire, forse già qualche giorno prima, come debolezza, intorpidimento, difficoltà nella coordinazione dei movimenti, e probabilmente dolori addominali e vomito.”
    “ L'hanno avvelenato, allora. Ma chi?”
    “Questo sta a te accertarlo, domani è domenica, ma farò un salto in istituto per concludere. Minniti mi sta con il fiato sul collo, vuole al più presto il referto dell'autopsia. Non lo sopporto quando fa così, comunque tu intanto hai materiale per andare avanti con le indagini.”
    Il referto conclusivo che Teresa presentò, diceva tra l'altro: - “... Esaminato e sezionato i vari organi: cuore, fegato, polmoni, milza, pancreas, sono tutti in ottimo stato, coerenti con un uomo in salute e quarantenne qual era il malcapitato. Esaminando lo stomaco ho rilevato presenza di un veleno e si stabilisce si sia trattato di arsenico, assunto in più volte. Si dichiara quindi morte per avvelenamento... “
    Appena Vella lo lesse, concluse che era da escludere una morte accidentale, doveva indagare per un omicidio, benché le impronte rilevate fossero solo della vittima, tornò sul luogo con l'ispettore Colantuoni per accertarsi di non aver trascurato alcuna altra prova. Se Benelli non riceveva mai nessuno a casa, pensò, l'avvelenamento doveva essere avvenuto altrove. In cucina infatti non trovarono bicchieri sporchi, né altro.
    A carico dell'uomo alla Questura di Pisa e di Firenze non risultava niente e chi l'aveva conosciuto ne parlava bene. Chi poteva aver voluto la sua morte e perché?

    La sera del lunedì, di una giornata umida e nuvolosa, lo colse a camminare avanti e indietro per l'ufficio, mentre formulava nella mente le più svariate ipotesi.
    E se si fosse suicidato? Non doveva scartare neanche quell'idea, eppure... eppure gli sembrò così malsana da accantonarla subito. Ma chi era Amilcare Benelli? Di lui ne sapeva poco o niente. Doveva andare a fondo. E se l'avesse ucciso qualcuno, qual era il movente? Si impose di analizzare una cosa alla volta, per intanto poteva seguire una pista, rintracciare un amico conosciuto alla scuola di Polizia: l'Ispettore Boldrini della Questura di Venezia. Se il defunto Benelli aveva abitato in Veneto, come le avevano detto, qualcosa su di lui si doveva riuscire a scoprire.
    Lungo la strada di casa pensò di fare una deviazione, e si diresse verso Via Garibaldi, l'appartamento di Teresa. Sentì improvvisamente la voglia di vederla e di parlarle.
    La giovane donna non si mostrò sorpresa, non era la prima volta, quando un caso si faceva complicato. Pietro le aveva detto più volte che aveva buon intuito e a parlarne con lei le cose gli apparivano sempre più chiare.

    “Sono in alto mare Teresa. Non riesco a cavare alcun ragno dal buco.” Pietro era preoccupato e agitato.
    Presa alla sprovvista e di buon umore la donna pensò di alleggerire la tensione con la proposta: “ Ordino due pizze, ti va? Così mi racconti con calma.”
    “ Va bene, per me la solita capricciosa, fatti aggiungere anche due birre.”
    Attese che ordinasse e riattaccò con l'esposizione dei fatti di cui era venuto a conoscenza.

    “Il Benelli lavorava in una conceria a Prato e oggi sono andato a parlare con i suoi compagni. Ho scoperto che non lo vedevano da giovedì scorso, ma era già successo. Mi hanno detto anche che, quando era presente si faceva i fatti suoi, andava d'accordo con tutti e sembra non avesse una famiglia. Tutto qui. Comunque ho chiamato un amico alla Questura di Venezia. Mi ha promesso che farà ricerche per me, così mi evita di andare là.”
    “Ah, dimenticavo. In tasca gli abbiamo trovato un biglietto da visita di uno psicologo e nell'armadietto del bagno un flacone vuoto di Xanax. Pensi sia rilevante?
    “Lo Xanax è un farmaco per ridurre l'ansia e favorire il sonno. Ma non ne ho trovata traccia nel corpo.” Precisò la donna. Arrivarono le pizze e i due, in silenzio, si sedettero al tavolo. Mentre faceva saltare il tappo della bottiglia di una birra, Teresa esordì: “Stai cercando le prove di un assassinio e se invece l'uomo si fosse suicidato? Hai pensato a questa ipotesi? ”
    “Sì, ci ho pensato, ma se voleva togliersi la vita perché non farlo con lo Xanax, non era più semplice e meno doloroso? Comunque domani telefono allo psicologo del biglietto e prendo un appuntamento.”

***

    Il martedì Pietro uscì dallo studio senza aver scoperto niente. Il medico non aveva mai visto il Benelli e non aveva trovato nessun appuntamento fissato a quel nome.     Le indagini non lo stavano portando da nessuna parte. Vide passare il martedì, poi il mercoledì e il giovedì, il venerdì pomeriggio finalmente ricevette la telefonata dell'amico da Venezia.
    “Allora abbiamo scoperto che quel tuo Amilcare Benelli ha lavorato per anni all'Ilva di Porto Marghera, una vita tranquilla, un operaio modello. Abitava a Mestre con moglie e una figlia di tre anni. Poi però due anni fa le ha perse, investite da un camion sulle strisce pedonali. I condomini dove abitava mi hanno detto che dopo la disgrazia evitava tutti, non andava più a lavoro e non parlava con nessuno Per un mese l'hanno visto uscire poco di casa. Poi un giorno l'hanno di nuovo incontrato per le scale e per strada. Ma la cosa è andata avanti un paio di mesi perché dalla sera alla mattina ha lasciato l'alloggio e non l'hanno più visto. Mi dispiace ma è tutto quello che sono riuscito a sapere.”
    “ Ah, aspetta c'è un'altra cosa. C'era uno psicologo, un certo Antonio Giovannoni, che pare lo avesse in cura. L'abbiamo contattato, ma è meglio gli parli anche tu, ti do il numero telefonico. “
    “Grazie, Boldrini, mi sei stato di grande aiuto, magari mi aiuta a fare chiarezza. ”
     Riagganciò il telefono e fece il numero dello psicologo di Mestre.
  Dopo qualche ora, lasciò l'ufficio, ma continuò a pensare al caso. Mentre raggiungeva la macchina gli vennero in mente le parole di Teresa e si ritrovò in Via Giuseppe Garibaldi con i cartoni di due pizze.

    “Ciao, disturbo?”
    “Ma no, prego. Fai come fossi a casa tua. Non ti è venuto in mente che potessi avere un impegno?”
    “Scusa, hai ragione. Stavo pensando al caso di Amilcare Benelli e mi sono ritrovato qua sotto.”
    “Ma certo. Va be' - le disse sorridendo – dai, ormai sei qui. Siediti e racconta.”
    “Allora secondo me è andata così. - Aggiunse Teresa, dopo aver ascoltato e mentre mandava giù un boccone di pizza - Probabilmente quell'uomo ha provato ad andare avanti, lo spiega il fatto che ha lasciato Mestre e ha ricominciato a lavorare a Prato.         Forse era convinto di aver superato la tragedia, poi però il vuoto e la disperazione lo hanno di nuovo portato a fondo e non ha visto altra scelta che il suicidio.”
    “Questo me l'ha lasciato intendere anche lo psicologo, sembra che, già a Mestre, avesse pensato più volte di farla finita, perché non trovava più un senso all'essere vivo, mentre la moglie e la bambina non c'erano più. Ma stabilito questo, perché uccidersi in quel modo, e poi dove ha buttato la boccetta? Non era più semplice e veloce usare lo Xanax?”
    “Va a capire cosa gli sia passato per la testa, magari doveva andare dallo psicologo per farselo ordinare. Tu hai cercato bene a casa sua?” Avete guardato nell'immondizia?” Aggiunse Teresa.
    “Sì, in cucina. Ma all'esterno della casa c'è anche un piccolo spiazzo verde. A parte cercare impronte non abbiamo fatto altro. Domani mattina vado subito a controllare.”

    A Vella, quel sabato, bastò aggirarsi nei pressi della casa per trovare le prove per risolvere il caso. Poggiato dietro un secchio di plastica c'era un sacchetto nero dell'immondizia. Forse il Benelli l'aveva messo quella mattina con l'intenzione di buttarlo nel cassonetto più tardi. Poi, però, rientrando in casa si era sentito male, era caduto a terra e non si era più rialzato.
    Tra i vari rifiuti domestici, rinvenne una boccetta vuota con alcune gocce di un liquido inodore e incolore che l'analisi successiva confermò si trattasse di arsenico. Insieme trovò un quaderno su cui la vittima aveva scritto alcuni pensieri per la moglie e la figlia. Per lo più ricordi di momenti felici passati insieme, ma le ultime frasi furono significative: Ve ne siete andate ed è impossibile riportarvi indietro, scrivere di voi non mi ha aiutato, le parole non mi hanno dato sollievo. Ci ho provato ma è impossibile andare avanti così. E' arrivata l'ora di arrendersi e di porre fine a questa mia vita infelice.
    Il commissario non ebbe più dubbi. Non c'era stato nessun omicidio. Amilcare Benelli si era semplicemente suicidato.

Stefania Pellegrini©

Anno 2025   

DIRITTI RISERVATI

lunedì 3 febbraio 2025

Sulla spinta del vento caldo - Nuovo racconto

 


BUONA LETTURA

La primavera quell’anno pareva, al ventotto di febbraio, aver già avanzato i suoi primi passi. Nel piccolo paesino ai piedi delle montagne era arrivata una mattina, all’improvviso, con il vento caldo. Soffiò tutto il giorno e dopo tanto freddo e neve il cambiamento fu subito percepibile nell’aria.

Non era finita, si sapeva bene, e c’era da aspettarsi che il freddo non avrebbe mollato così la sua presa, non sarebbe stato da lui. La cosa fu comunque accolta dalla gente con ottimismo e la temperatura mite portò qualcuno all'aria aperta per controllare i danni lasciati dal lungo inverno. Non era ancora tempo di sarchiare il terreno dell’orto, la neve disciolta e il gelo accumulato nelle notti fredde l’aveva indurito, anche in giardino, nonostante le testoline delle prime margherite spuntate tra l’erba acciaccata dalla neve,  tutto ancora pareva riposare.

Lui arrivò in paese sulla spinta di quel vento, in tarda mattinata dalla città. Appena sceso dall'autobus si contò i soldi rimasti nelle tasche e storse la bocca: erano pochi. Troppi pochi spiccioli per comprarsi qualcosa da mangiare o sperare di andare avanti. Non sarebbe stata la prima volta che saltava il pasto, a quello ormai era abituato, ma era stanco di elemosinare in giro anche solo un piccolo tozzo di pane. Quella mattina però si sentiva stranamente ottimista, qualcosa stava cambiando. Che fosse la primavera in arrivo?

Il lavoro di giardiniere, anche se per pochi mesi, sarebbe stato suo, sentiva che sarebbe stato così. Sperava tanto andasse bene perché era stufo di dormire sempre in un luogo diverso e fare quel tipo di vita. Voleva un lavoro che lo facesse sentire utile, un lavoro dignitoso, un lavoro vero, ma sapeva bene che la volontà non basta contro la diffidenza e il pregiudizio.

Ne aveva viste e passate tante per quella pelle scura, lontano dalla sua terra. Era difficile far capire alle persone che aveva sani principi e sempre buone intenzioni. Soprattutto non era uno sfaticato e se chiedeva qualche centesimo fuori da un supermercato non era perché non avesse voglia di lavorare. Era semplicemente che lui un lavoro non lo trovava, finiva sempre per prenderselo qualcun altro.

Poi c'era stato un incontro, qualche giorno prima, fuori dal supermercato Conad, con un'anima caritatevole. Un uomo anziano che, invece di dargli la solita moneta, si era soffermato a parlare con lui e gli aveva detto di quel lavoro. Farid quasi non aveva creduto alle sue orecchie. Prima di giungere in quella città si era già occupato di piante, gli piaceva prendersene cura, stare fuori a contatto con la natura e far fatica non lo spaventava.

Il suo abbigliamento, consistente in un paio di pantaloni leggeri e una giacca di due taglie più grande, rimediata in un centro Caritas, non era dei più adatti al clima rigido di quella regione, e la gente spesso lo guardava con curiosità e diffidenza. Ormai si era abituato ai loro sguardi e non faceva più caso alla distanza che mettevano tra lui e la loro persona. Quel giorno, però, sperò ardentemente che colui o colei, a cui doveva rivolgersi, non si facesse influenzare dalle apparenze o fosse assalito/a dai soliti pregiudizi.

Il responsabile della Cooperativa, a cui si presentò, era un giovane all'incirca della sua età. Per un attimo questo lo portò a illudersi che potesse esserci empatia tra loro e quindi fosse più facile fargli comprendere quanto fosse importante avere quel lavoro. L'uomo però lo liquidò in fretta affermando di essere dispiaciuto ma di aver appena assegnato il lavoro a un'altra persona.

Magari le cose erano davvero andate in quel modo, ed era stato solo questione di tempismo, ma quel pensiero non lo confortò e si sentì comunque ancora una volta rifiutato. Era appena ventenne, aveva tutta una vita davanti, ma quale, a quali condizioni, se ogni volta finiva con un nulla di fatto? Sarebbe mai arriva la sua occasione, ne avrebbe mai avuta una?

        Uscì dall'ufficio con l'animo a terra, e la ventata di aria calda che lo investì non gli fece tornare il buon umore, si sentì pervadere da un senso di inutilità. Aveva sperato in quel lavoro, aveva sognato, fantasticato di poter contare su un nuovo inizio, su un futuro più sereno, invece restava un clandestino. Aveva osato sperare troppo, pensò, non c'erano possibilità di riscatto per uno come lui. Era un diverso, era un nero, la gente aveva paura di persone come lui.

     Dopo un anno, in Italia per essere sfuggito alle guerriglie nel suo paese che depredavano e uccidevano, aver affrontato il lungo viaggio nel deserto e poi in mare... le violenze, la fame, le torture, le vessazioni in Libia, dopo aver superato tutto questo, si sentiva ancora in viaggio. Alla ricerca di una terra, di una sua dimensione, ancora esposto ai rischi, alle tentazioni, di chi è senza un lavoro. Era un irregolare. Non aveva diritto a sognare uno come lui, poteva solo accontentarsi degli scarti. Dopo tutto doveva considerarsi comunque fortunato: era ancora vivo.

      Mentre camminava, seguendo il corso dei suoi pensieri, si accorse di aver lasciato il centro per imboccare una strada traversa e di essere finito vicino a una scuola. Non era l'ora della ricreazione e i bambini erano ancora in classe, ma in una villetta poco distante notò una vecchietta che stava cercando di tenere aperto un sacco nero dove avrebbe voluto gettare le foglie accartocciate e umide cadute in giardino. Ma era una lotta impari tra il vento che non accennava a essere ragionevole e la donna che si affannava a raccogliere qualcosa che in un attimo vedeva di nuovo dispersi attorno.

     Alla vista di Farid l'anziana si soffermò per riprendere fiato e gli sorrise. Non capitava spesso che qualcuno fosse gentile con lui e ne fu piacevolmente sorpreso. Notò che la donna zoppicava ed era gobba. Francamente non si spiegava come riuscisse a stare in piedi. Non sembrava molto sicura nei movimenti, a tratti le mani parevano accennare un tremito. Stava facendo qualcosa che era al di sopra delle sue possibilità, così si offerse di aiutarla. Adele guardò il giovane in faccia, e gli sembrò di vedere suo nipote, uno sguardo quasi familiare, forse per l'età, per gli occhi pieni di vivacità e aprì il cancello per farlo entrare.

    L'offerta di aiuto del giovane capitava proprio nel momento giusto, faceva fatica ad ammetterlo, ma era stanca e se avesse avuto una sedia vicino si sarebbe volentieri riposata un po'. Quel vento insistente le aveva tolto il fiato. Eppure non aveva saputo resistere alla nostalgia per l'aria mite della bella giornata primaverile dopo i diversi mesi trascorsi in casa per il freddo. Respirarla, sentirla entrare nei polmoni, la faceva stare bene. Poi aveva visto tutte quelle foglie che roteavano nel cortile, e aveva pensato di fare uno po' di pulizia, ma non aveva tenuto conto dei suoi anni e dell'irruenza incontrollabile del vento.

    Il giovane l'aiutò con il sacco e quando ebbe finito lo ripose sotto una tettoia al sicuro, poi si offerse per aiutarla a fare altro. Adele mentre lo osservava al lavoro, pensò alla comodità di avere due braccia forti a cui ricorrere per una mano. Farid era alto e appariva robusto, lei solo una vecchia fragile, e malata. Il figlio e il nipote viaggiavano spesso per lavoro e non osava coinvolgerli, chiedere quell'aiuto di cui, francamente in quella casa tutta sola dopo la morte del marito, aveva un gran bisogno.

     Aspettò che Farid finisse di mettere a posto poi lo invitò in casa a bere una tazza di caffè. Davanti al liquido fumante non riuscì a trattenersi da fargli domande sulla sua vita, e sul paese da cui proveniva. Adele come ogni vecchietta era curiosa e assetata di storie e, quel giovane che arrivava da lontano, e parlava già abbastanza bene l'italiano, sembra averne una tutta per lei.

    La sua era semplice curiosità, niente altro, neanche per un momento l'attraversò l'idea di diffidare di lui, né di dare peso alla sua pelle nera. Qualche giorno dopo, quando una vicina si permise di suggerirle di fare attenzione, che non c'era da fidarsi di uno straniero,  soprattutto con la pelle nera, si scoprì  a dire le stesse cose.

    Farid era semplicemente un giovane, precisò, un giovane come tanti, come era stato suo figlio e ora suo nipote. Un giovane pieno di forza e di vita, quella che lei a giornate sentiva sfuggirle dentro. E la liquidò aggiungendo che non aveva niente da temere da lui, piuttosto erano gli altri ad avere qualche problema. Tutti hanno diritto a una seconda occasione e non deve essere il colore della pelle a condizionarne il diritto.

    Nessuno vide più Farid davanti a un supermercato. Lavorò per Adele che lo retribuì per diversi mesi e anche dopo passò spesso a trovarla per farle un po' di compagnia. Con il tempo la gente del paese imparò a non diffidare di lui, a essere gentile e a salutarlo. Qualcuno lo chiamava per fargli fare dei lavoretti, qualcun altro si soffermava a parlare e pronunciava amichevolmente il suo nome. Nessuno più cercò di evitarlo. Un anno dopo si liberò un posto alla Cooperativa e fu assunto stabilmente  come giardiniere.

    Tutto merito del vento caldo di quel lontano giorno che oltre alla primavera portò una nuova vita a Farid.

Stefania Pellegrini ©

Anno 2025 - Inedito